La monaca

la monaca blasfema

Una storia blasfema

Mi chiamo Eleonora ma fino ad un anno fa il mio nome era suor Maria Benedetta. Si, ero una monaca e amavo quel Dio che avevo sposato prendendo i voti. Quando capii che volevo entrare in convento avevo appena 17 anni e non avevo mai nemmeno baciato un ragazzo figuriamoci tutto il resto. I miei genitori erano molto credenti e soprattutto praticanti così, fin da quando ero solo una bambina, accompagnavo mia madre in chiesa ogni giorno a pregare.

Ricordo chiaramente l’odore intenso dell’incenso e il tono solenne di don Bruno che faceva la predica, io lo ascoltavo con interesse e ammirazione. Si potrebbe dire che la chiesa era la mia seconda casa e piano piano crebbe il mio amore per Dio. Un pomeriggio ero inginocchiata a recitare il rosario quando Don Bruno venne a sedersi accanto a me. Gli dissi di getto che volevo farmi suora, lui mi guardò per alcun minuti poi disse che ero una bella ragazza e che avrei dovuto pensare a farmi una famiglia. Mi chiese se avessi mai fatto peccato con dei ragazzi…

Li per li non ci trovai nulla di strano, era il mio confessore e pensai che fosse suo dovere chiedermelo. Ricordo il feroce imbarazzo che provavo ma risposi di no, che ero vergine. Gli si illuminarono gli occhi, poi mi mise una mano sul ginocchio e mi benedisse. I miei genitori ne furono immensamente felici quando glielo dissi e da li a breve mi ritrovai catapultata in un mondo fatto di regole, preghiere, silenzi. Il mio noviziato durò poco più di un anno e nel frattempo diventai maggiorenne. Indossai l’abito da monaca con ardore e passione e mai mi sarei aspettata di vivere un’esperienza come quella che sto per raccontarvi.

Il prete confessa la suorina

Le mattine da monaca in convento erano tutte uguali, sveglia alle 5 e preghiere, colazione e preghiere, pulizie e preghiere, messa, pranzo frugale e preghiere e via così per tutto il giorno. Naturalmente c’era da confessarsi ogni santo giorno che il signore mandava in terra ma cosa mai avremmo potuto confessare nella clausura di quelle celle? E allora ogni più piccola cosa diventava grande, ho fatto cadere l’acqua, ho tossito durante il silenzio, ho fatto pensieri impuri…

Eh si, non riuscivo a non fare pensieri impuri, di notte nel mio piccolo letto scomodo. Faticavo a prendere sonno e mi ritrovavo a ripensare alla voce di don Bruno nel confessionale e a volte mi sembrava di essere ubriaca e il mio corpo diventava bollente e fremeva e mi imponevo di non accarezzarmi ma era davvero dura. Che strana sensazione sapere che una monaca non deve fare certe cose ma non riuscire a pensare ad altro.

Confessa i tuoi pensieri impuri…

Un giorno, prima di messa, andai a sedermi al confessionale e cominciai a rifilare a don Bruno le solite sciocchezze senza valore. Lui mi disse ”tutto qui? davvero non c’è nient’altro che vorresti dirmi? una ragazza giovane come te avrà molti pensieri strani ma è normale alla tua età…non ti devi vergognare e poi io sono il tuo confessore…”. Diventai di tutti i colori ed ero imbarazzatissima, mi chiedevo come avesse fatto a leggermi così bene dentro. Di certo non potevo mentire e così gli confessai quello che di notte accadeva al mio corpo pensando a lui.

Mi rassicurò dicendo che non c’era nulla di male anche se ero una monaca ma che avremmo dovuto fare un percorso di purificazione della mia anima prima che il diavolo cominciasse a muovere la mia mano di notte per portarmi sulla via della perdizione. Ero giovane e ingenua e credetti davvero che don Bruno mi avrebbe aiutato. Mi diede appuntamento per le 4 di quel pomeriggio e mi disse che avrebbe comunicato lui alla madre superiora che lo avrei raggiunto nei suoi alloggi. In effetti madre Domiziana non fece nulla per impedirlo ma io sapevo che avrei dovuto essere accompagnata da una consorella. La cosa mi parve strana ma evidentemente la madre aveva fiducia in me.

Il peccato, il diavolo e la monaca

Bussai alla porta e lui venne ad aprirmi senza la tonaca, indossava un paio di pantaloni neri e una camicia bianca. Devo ammettere che era molto bello come uomo. Aveva una quarantina d’anni, i capelli scuri appena brizzolati e gli occhi di un azzurro intenso. Alto e magro senza la pancia tipica dei parroci. Mi accolse calorosamente e mi invitò ad entrare. Declinai la sua offerta di thè e biscotti e me ne restai in silenzio e occhi bassi sulla seggiola di legno accanto al tavolo. Si avvicinò a me e mi prese il viso tra le mani in modo molto paterno dicendomi di non preoccuparmi, che aveva tutto il necessario per placare il diavolo che avevo dentro. Ero proprio una monaca fortunata…

Perchè di quello si trattava, mi spiegò, il diavolo era entrato dentro di me e finchè non fosse stato placato avrei continuato a subire l’influsso della carne. Esisteva un modo, a suo dire, per scacciarlo. Dovevo dare al diavolo ciò che cercava, il piacere della carne e allora, pensandomi sconfitta, se ne sarebbe andato. So che sembra assurdo che qualcuno possa bersi una simile idiozia ma che devo dire, ero stupida evidentemente e lui era molto convincente. Mi fece alzare e mi accompagnò in una bella camera da letto. Cominciò a sfilarmi l’abito e provai ad oppormi per imbarazzo ma lui mi fermò le mani e mi disse che dovevo fare tutto quello che lui mi diceva.

Chiusi gli occhi e mi lasciai spogliare. Sentivo le sue mani scivolarmi addosso, sui fianchi, sui seni e come accadeva di notte il mio corpo si accese. Don Bruno prese un olio o qualcosa del genere e cominciò a spargerlo sul mio corpo, le sue dita erano così avvolgenti e calde che iniziai a mugolare. Lui mi sussurrò all’orecchio ”vedi? questo è il segno che il diavolo è in te”. Mi aveva appena passato un dito tra le cosce e aveva raccolto quel liquido denso che stava colando dalla mia figa. Mi mise le dita davanti al naso obbligandomi a sentirne il profumo.

La vergine indemoniata

”’Non c’è alcun dubbio suor Maria Benedetta, dobbiamo agire e dobbiamo farlo subito”. Ero terrorizzata dall’avere il demonio dentro di me. lo sentivo scalpitare come un cavallo selvaggio. Lui mi fece sdraiare sul letto e poi, guardandomi con aria serissima mi chiese se ero davvero vergine. Lo giuro lo giuro lo giuro. Lui sorrise in modo strano e poi mi disse di aprire le cosce per fare uscire il diavolo. Opposi resistenza e lui mi prese le ginocchia e allargò le mie gambe. Guardava, scrutava, toccava. Cominciò a battere un dito sul clitoride duro e la cosa mi fece impazzire, era come se fossero esplosi mille fuochi d’artificio in quel minuscolo punto. io non ero mai stata toccata da nessuno…nemmeno da me. Nè prima nè dopo essere diventata una monaca.

Mi aggrappai alle lenzuola stringendole in pugno. Lui avvicinò il viso e affondò la lingua mentre io mi sentivo morire avvolta dalle fiamme. ”Io ti libererò!!” mi diceva mentre si sbottonava i pantaloni e tirava fuori un grosso cazzo duro con la cappella gonfia. Era la prima volta che ne vedevo uno e mi sembrò bellissimo. Nodoso, grosso e con le vene in evidenza. La cappella sembrava un enorme fungo che puntava dritto verso di me. Il prete cominciò a urlare ”dimmi che sei vergine e non una troia blasfema!!!” . Giurai e spergiurai che ero vergine e lui si infilò con un solo colpo dentro di me. Bruciava da impazzire e mi riempiva fino alla pancia, sentivo colare il sangue verginale tra le cosce ad ogni colpo che mi dava. Cazzo se faceva male e lui non si fermava mai.

Ad un certo punto uscì dalla mia figa ormai aperta e si guardò il cazzo sporco del mio sangue e dei miei umori. Improvvisamente cambiò il tono di voce, divenne mellifluo e suadente. Mi rassicurò dicendo che stavamo scacciando quel diavolo ma che resisteva e avremmo dovuto andare molto più a fondo, usare tutte le nostre armi. Strusciò l’uccello gonfio sulla mia pancia lasciandomi i segni della sua perversa lussuria e ripulendosi il cazzo sulla mia pelle bianca. Mi disse che dovevo prendere in bocca il suo sacro uccello e succhiarlo per togliere l’influsso malvagio in modo che potesse riprendere il rituale di purificazione della mia anima lercia. Non volevo, ero stanca e ormai avevo capito che il caro Don Bruno stava mentendo. Gli dissi di no, urlando a gran voce che doveva lasciarmi andare.

pompa suora pompa

Ovviamente pensavo che sarebbe bastato a fermarlo ma lui si fece una risata e la porta della camera si aprì. C’era la madre superiora sulla porta con un’espressione che non le avevo mai visto. Credetti fosse venuta a salvarmi ma invece mi prese le mani e mi spinse la testa giù sul cazzo del prete. ”Succhia” mi diceva. Il prete si teneva il cazzo in mano e lo spingeva contro le mie labbra finchè non riuscì a farmele aprire. Sentii il suo sapore e il calore che sprigionava quel duro pezzo di carne. Una parte di me ancora si ribellava ma cominciai a provare una certa eccitazione.

Mi piaceva il contatto della lingua sul buco della sua cappella, li dove usciva il sapore del suo corpo. Cominciai a spompinare con maggiore impegno mentre lui mi dava della troia blasfema, della puttana corrotta. Ero messa a pecora a sbocchinare e la monaca mi schiaffeggiava le natiche intimandomi di prenderlo tutto in gola. Non capivo più niente, obbedivo in silenzio, divisa tra il piacere e la vergogna. ”Ora ti libereremo dal tuo peccato lurida serva del demonio” mi disse il prete. La monaca prese il grosso rosario che portava in vita e me lo strinse ai polsi mettendosi di fronte a me.

inculata dal prete

Mi spinse la testa sul materasso mentre don Bruno, alle mie spalle, appoggiava la punta del cazzo al mio buco del culo. La madre mi intimava di stare ferma mentre, alzandosi la tonaca, mi poggiava la fica contro la faccia. Poi mi ordinò di leccarla mentre il prete mi apriva il culo lentamente. Lo sentivo scivolare dentro e faceva male ma allo stesso tempo mi piaceva e intanto assaporavo la figa fradicia di quella donna. Il cazzo di don Bruno mi entrò tutto nel culo e lui cominciò a sbattermi sempre più velocemente. Il dolore divenne man mano piacere e mi ritrovai a spingere contro quel cazzo per prenderne ancora di più. Quella puttana intanto di sgrillettava mentre le infilavo la lingua nella figa e mi spruzzava i suoi liquidi sulla faccia. Godeva come una troia quella cazzo di suora e lui affondava le dita nella mie natiche.

L’ultimo colpo che mi diede mi fece avere il mio primo orgasmo, lui si sentì stringere il cazzo dal mio buco del culo e spruzzò tutta la sua sborra dentro di me gridando come un porco. Lo sentii bestemmiare quel dio a cui leccava il culo ogni giorno mentre si svuotava dentro di me e capii quanta falsità mi ero bevuta in quegli anni. Ma il mio corpo si sentiva appagato come non mai e restai li, a pecora, mentre il succo del suo uccello colava fuori da quel buchino violato senza pietà.

Dopo qualche minuto la madre superiora mi ordinò di alzarmi e rivestirmi. Poi mi diede un piccolo plug anale e mi disse che avrei dovuto indossarlo ogni giorno dalle 5 del mattino alle 5 del pomeriggio e che a quell’ora mi sarei recata in quella camera da letto per avere la mia punizione ai peccati che avevo commesso. I giorni successivi obbedii a tutti gli ordini ricevuti…ormai ero diventata la loro puttana e quello che mi fecero fu assurdo. Ma questa è un’altra storia e ve la racconterò un’altra volta.

racconto di Viola 199


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